Dislessia e Linguaggio



La dislessia ha a che fare con l'apprendimento, ovvero col linguaggio. Quando capiremo di vivere in un'epoca attraversata dalla nascita di un nuovo linguaggio, quello ipermediale, completamente differente dal precedente - la scrittura - per grammatiche, sintassi, regole, logiche? Un nuovo linguaggio nato dalla necessità di comprendere il mondo sempre più complesso.

Quando capiremo questo, allora tanti giovani dislessici saranno considerati come nativi di questo nuovo linguaggio, che sanno intimamente quanto il vecchio sia ormai sempre più solo parzialmente efficace all'apprendimento del sapere, sempre più distante dalle possibilità di conoscenza. Ed invece di considerarlo un deficit, capiremo che i deficitari sono tutte quelle agenzie formative e sanitarie, intellettuali, docenti, medici che non hanno ancora colto l'epocale rivoluzione dei nostri tempi, pari a quella che, in una lontana civiltà orale, vide la nascita della scrittura.

Il linguaggio ipermediale modifica i paradigmi della conoscenza, si fonda su logiche di interattività, multimedialità, simultaneità, non linearità. Laddove la scrittura conosce (nel senso attivo che "apprende", e codificante che "ordina") il mondo linearmente, sequenzialmente, una canale/media alla volta, da uno a molti, come enunciato chiuso dal punto. La complessità della conoscenza ha creato e reso necessario un nuovo linguaggio per il suo apprendimento: fatto di link al posto del punto, di rimandi simultanei, di andamento non lineare, privo di affermazioni chiuse ed invece interattivo, attraversato contemporaneamente da codici differenti.

Considerare tutta la dislessia un disturbo da curare con terapie di riabilitazione mostra quanto il vero deficit di apprendimento stia in chi continua a non accorgersi di come il nostro mondo abbia dato vita e usi già da tempo un nuovo linguaggio, e si rifiuta di conoscerlo, capirlo, farlo proprio, limitandosi a subirlo passivamente se non con fastidio, un deficit nell’apprendimento del nuovo linguaggio che si traduce in deficit di conoscenza di un mondo nuovo, sempre più complesso, e che purtroppo finisce col riversare il proprio gap sui giovani dislessici che invece vivono già dentro al nostro tempo, al nostro linguaggio.

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