Lo statuto fluido delle immagini contemporanee

Domenico Dom Barra, DMNC RMX, dombarra.tumblr.com
Commento all'interessante articolo di Vito Campanelli che recensisce “After Photography” di Fred Ritchin.

Vero, il digitale rimescola media e confini e dunque oggi una immagine entra inevitabilmente, volente o no, in un flusso (di modifica, remix, condivisione ecc.) e non può più in alcun modo essere considerata astratta da questo. Non solo perde la sua aurea di unicità in quanto infinitamente replicabile, ma anche l’idea stessa di identità in quanto modificabile a priori, a partire dal suo scatto/concepimento, almeno in quanto possibile (postproduzione).

Verissimo, ma manca un pezzo a mio avviso. Pur immersi come siamo (persone, immagini, opere…) in un contesto così densamente popolato (di persone immagini opere e loro simultanee combinazioni), tale da marcare molto più nettamente che in ogni altro passato (quando i numeri di tutto erano molto più piccoli rispetto allo spazio, e le possibilità di interazioni molto lente, distanti) il proprio stato interconnesso, olistico, “indistinto”… resta pur sempre, in ogni persona immagine opera, quella sua volontà e desiderio narcisistico tenero e vitale insieme di esistere come sé, di distinguersi percepirsi fermarsi ed esprimersi come “unico”.
E in questa tensione sta il fascino di ogni essere vivente, di ogni immagine, di ogni opera. 

Che poi è l’antico contrasto oriente/occidente: oriente= flusso processo ápeiron indefinito indifferenziato divenire / vs occidente = ontologia distinzione volontà identità essere (come perdersi il magistrale François Jullien di "Essere o vivere"?)
Per quanto la fisica, la riproduzione e la tecnologia ci stiano oggi facendo indubbiamente avvicinare e prendere (vivaddio) contatto con un approccio olistico e fluido tipico orientale, io non per questo butterei a mare Aristotele Platone Cartesio Kant… e quella sfida, quell’antico sogno, tracotante eccessivo superbo folle tragico, di elevarsi da una umanità orizzontale e indistinta (col tutto, la natura, gli altri) all’essere Dio. Sapendo bene di sfidare, inutilmente, i limiti e provocare l’hybris, oggi ancora più che in qualunque altra epoca! ché trovarsi in mezzo a 7 miliardi e passa di persone che partoriscono miliardi di miliardi di immagini, parole, senso opere… ci illude sempre meno della nostra unicità e ci ancora, giustamente, al sentirci parte di un tutto. Eppure perché privarsi anche solo dell’unica improbabile probabilità del sogno, dell'immaginazione? Solo perché è irragionevole?

Dunque l’immagine nel mondo postmediale certo entra nel flusso, si perde in esso, non può più dimenticare di esserne parte… eppure, a mio avviso, conserva - anche solo in una infinitesima parte di sé -  quel sogno, aspirazione, pretesa divina di unicità, colta appunto nel fermare quel flusso, fermo immagine.
E in questa tensione di opposti si gioca la vita, l'eros, si gioca l’arte.  

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