Di scuola, di tecnologia e di sfide

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Da un articolo del caro Franco Lorenzoni, intitolato "Restare accanto agli studenti è la prima sfida per la scuola", prendo spunto per parlare di scuola, formazione, elearning, linguaggio digitale e sfide nell’era dell’emergenza coronavirus.

La prima sfida per la scuola credo sia invece in primo luogo fare ammenda della propria arretratezza e recuperare con il triplo dell’impegno, del coraggio e dell’apertura mentale, liberandosi dei vecchi mantra che l’hanno portata a questo ritardo.

Ma vediamo l’articolo di Lorenzoni (che trovate sul Manifesto), rivisto punto per punto:
  • La scuola “sta procedendo a tentoni (e dunque si va da un estremo all’altro)".
E brava scuola, bravi docenti, bravi intellettuali e operatori della conoscenza. Di formazione a distanza (fad), teledidattica, lms, cbt, wbt, aula virtuale, mooc, webinar, fino a blended learning, active learning si parla da almeno 30 anni.
La formazione utilizza da sempre la tecnologia - calamaio, inchiostro, stampa, libri, lenti, calcolatrice... fino al computer - e riguardo a quest’ultimo ha attraversato, sperimentando se stessa ed evolvendosi, l’offline degli ipertesti (cdrom, multimedia), l’online del web 1.0, poi 2.0, poi mobile, fino all’IoT di oggi.
Esordire dicendo che oggi, in seguito all’emergenza coronavirus, la scuola italiana procede a tentoni, esigerebbe una premessa: delle scuse, un mea culpa. Perché non essersi accorti di nulla per 30 anni proprio da parte di quella classe di operatori della conoscenza (intellettuali, docenti, formatori, editori, mondo della cultura in generale) deputati alla trasmissione del sapere... beh, la ritengo una disattenzione singolare.
E ancora poco sarebbe essere stati disattenti. Perché al contrario si è andati ben oltre la disattenzione. Si è creato un movimento, maggioranza di quel mondo, che ha all’unisono partorito e divulgato il pensiero comune della tecnologia come nemico, del computer come il demonio, di internet come il male. Se si parlava di internet riguardo alla scuola era per lo più per sciorinare centinaia di articoli e convegni su come proibire l’uso dello smartphone in classe, e possibilmente anche in casa, sulle nefaste conseguenze di questo strumento infernale, oppure, al massimo, si arrivava a parlare di lavagne elettroniche.
Non solo quindi snobbando a un tempo tecnologie-metodologie-linguaggi nuovi. Ma proprio demonizzandoli.
E’ bizzarro che, in tanti anni, tanti docenti non abbiano, almeno a titolo di curiosità personale, fatto esperienza di una lunga storia di formazione a distanza ed elearning nelle sue varie declinazioni. Evidentemente insufflati da un pensiero comune che li intimava di tenersene a distanza, se volevano continuare ad appartenere alla nobiltà della buona scuola di una volta.
Ma se non loro, docenti, formatori, operatori della conoscenza, editori, intellettuali, chi doveva prepararsi a questo?
Ecco, ora una riga semplice di scuse da parte di chi per anni ha spinto in tal senso sarebbe doverosa. Non certo per una questione formale, ma per dimostrare di aver capito la lezione. Invece quel che temo è che la lezione non si sia capita affatto (come vedremo dimostra la chiusura dell’articolo, anzi).
  • Secondo punto: la formazione a distanza causa discriminazione di classe poiché “i ragazzini poveri non hanno il pc, i genitori non possono ricaricare i giga, né uscire a far fotocopie".
Ora tralascio il cenno alle fotocopie, visto che nessuno può uscire di casa e pochi hanno una fotocopiatrice in salotto, e soprattutto: le fotocopie con l’elearning che c’entrano?
Ma chiedo: il fatto che ancora un 20% di persone in Italia non ha accesso a internet - togliendo da questi chi non ce l’ha non perché non può permetterselo ma per scelta - di chi è responsabilità? Scommetto che le famiglie povere senza internet hanno la tv in casa: internet però non lo abbiamo considerato strumento primario ed essenziale (eh no, era il male, ricordate?), quindi il mondo della cultura e della formazione non si è battuto per spingerlo come bene di prima necessità.
Anzi, gli sforzi erano tutti tesi, come crociate, per farlo letteramente fuori più che si poteva (dalle scuole e dalle case), o almeno contingentarlo, confinarlo, accusandolo di ogni problema di educazione e maturazione del bambino e dell’adolescente, colpevole di ogni problema della sua evoluzione.
  • Terzo punto: "la subordinazione delle istituzioni pubbliche alle piattaforme del capitalismo della sorveglianza". 
Tralascio per ora il mantra ‘capitalismo della sorveglianza’ (rimando ad un altro articolo), ma chiedo: non vuoi usare Google? usa Weschool. Nemmeno quello va bene? C’è Moodle, che è open source. Non va bene neppure questo? Creati qualcosa. In tanti anni, ne avevi di tempo per farlo. Ma soprattutto, come se la formazione a distanza si risolvesse in qualche ora su Zoom o Skype o Gotowebinar, insomma fosse una questione di piattaforma (ce ne sono talmente tante!) e non soprattutto di metodologia. Ma no, siamo ancora totalmente dentro il pensiero della demonizzazione della tecnologia che non usciamo da lì! Tra l’altro dimostrando proprio di non aver capito nulla né di elearning né di tecnologia.
  • Quarto punto: la formazione a distanza comporterebbe “nei bambini e negli adolescenti un apprendimento più lento"
Qualcuno può spiegarmi chi lo dimostra? Visto che si sta procedendo a tentoni, per la prima volta, che dati di esperienza larga e diffusa non vengono citati, come si fa a dire questo? E se per qualcuno l’apprendimento fosse più lento e per altri più veloce? E se per quelli per cui è più lento dipendesse dal fatto che la formazione non è pensata per livelli differenti, percorsi e fruizioni diverse? Oppure forse sono gli insegnanti a scontare i loro ritardi nella formazione a distanza, rallentando dunque l’apprendimento? O magari che anche nelle classi tradizionali non tutti apprendevano allo stesso modo e come schegge?
  • Quinto punto: "Il corpo è oggi il grande rimosso, costretto e vilipeso"
E niente, siamo di nuovo all’apoteosi di quella liturgia del ‘tutti contro la tecnologia, la tecnologia contro il corpo’, un derbi con una sola curva di ultras. Sono anni che sento ripetere questa litania del corpo vilipeso. Ma quando capiremo che tutto è corpo? che quando sono al computer, o al telefono, o scrivo una lettera a qualcuno lontano, o leggo un libro... tutto questo "è corpo"??? E' dai tempi dell'invenzione della scrittura che va avanti questo ritornello della tecnologia che sarebbe disumana perché separa il pensiero dal corpo (lo diceva Platone). Ma non sarebbe ora di smetterla?
  • Sesto punto: "Un uso poco esperto delle piattaforme tende a privilegiare una didattica tradizionale fondata su lezioni frontali, mentre per costruire una didattica a distanza davvero interattiva c’è bisogno di saper intrecciare con creatività competenze tecniche ed esperienza pedagogica, che sono abilità non comuni". 
Ohhhh finalmente una cosa sensata. Abbiamo capito forse che, se il nostro elearning funziona poco e male, forse è perché è fatto male? Perché magari pretendiamo di trasferire pari pari un metodo (la lezione frontale) in un altro contesto?
Digitale, scrittura e oralità sono tre linguaggi differenti
. Ciascuno con grammatica, sintassi, regole proprie. Non saperli distinguere e utilizzare coerentemente a seconda del contesto e situazione, vuol dire essere analfabeti. Prendere un linguaggio e un metodo e pretendere di trasferirli altrove con gli stessi risultati non ha senso. Come quando si obbligava a studiare a memoria qualcosa che non era fatto per essere memorizzato e tramandato oralmente (come invece potevi fare con la metrica, ritmica, poesia, Omero ecc.): non funzionava. Ma non perché l’oralità e il metodo mnemonico fossero sbagliati di per sé! Se però li uso a cavolo, non funzionano e anzi fanno peggio.
Lorenzoni accenna al fatto che bisognerebbe utilizzare altri metodi, peccato però venga meno proprio sul punto più interessante, non dando uno straccio di indicazione in merito.
Nell’elearning bisogna pensare a una pluralità di momenti formativi (didattica in presenza compresa, infatti si parla ormai di blended learning), ciascuno con una tecnologia, metodo, tempi, livelli e percorsi di fruizione differenti. Ci sarà una parte on demand (ad esempio dei video registrati e montati ad hoc per ogni lezione, con animazioni, e un audio serrato, così da rendere questa parte breve e che desti attenzione, modello ‘trailer’: accompagnare ogni video con delle slide, per una fase di apprendimento più lento e con proprio ritmo); una parte di live streaming (per lavorare insieme, in gruppo, come lab; live di classe, in gruppi, one to one...), ecc. Nel nostro active learning ad esempio abbiamo sviluppato 12 momenti della formazione (inclusa la parte in presenza in classe e in laboratorio), differenti per durata, livello di concentrazione richiesta, tecnologia, attitudine, ecc. che alterna fasi di fruizione attiva e passiva, individuale e di gruppo, in aula e da remoto, on demand e live streaming, in modo da evitare il fisiologico calo di attenzione, adattarsi a esigenze, tempi, livelli di ciascuno, e dare modo a uno stesso concetto di venire assimilato in modi diversi, così da rendere l’apprendimento davvero efficace.
Un lavoro enorme, che certo non si mette su in pochi giorni, ci vogliono anni.
Questo il contributo di Rivoluzione.online (volendo approfondire, suggerisco questo link).
  • Chiusura. Non poteva mancare la perla di saggezza finale, il monito dei sacerdoti del pensiero unico antitecnologico: "Anche se siamo costretti ad attrezzarci per sperimentarla (la formazione a distanza), dobbiamo guardarci bene dal trattarla come miraggio di una futura scuola innovativa e dematerializzata"
E niente, non c’è virus che tenga. Continuiamo così a criminalizzare la tecnologia, anche ora. Sì certo, per qualche giorno usiamola, ma poi appena possibile torniamo di corsa alla lavagna e al gessetto e non muoviamoci da lì, non sia mai! Non dobbiamo correre ai ripari della nostra arretratezza dunque. Ma solo trattenere il fiato per un po’, stringere i denti su questa palla dell’elearning solo fino a che tutto non sarà passato e potremo poi tornare come era prima.
Dematerializzata”: questa è la parola magica, l’anatema con cui spaventare gli accoliti affinché - dopo questa ventata di novità - non dimetichino la retta via! Ma come diamine si fa a pensare che qualcosa che riguarda milioni di persone, connesse, che preparano cose, le condividono, scambiano saperi ed emozioni, sforzi, apprendono, studiano, discutono, si esercitano, ecc. ecc. ecc. possa essere definita DEMATERIALIZZATA? Come????

Io spero che dopo questa terribile esperienza, rivedremo priorità, mentalità e competenze. E soprattutto pensieri. Perché uscire fuori da tutto questo coi pensieri di prima, che erano già vecchi di 30 anni, sarebbe davvero la fine.

Credo l’apprendimento e la crescita siano fatti di tante modalità (in presenza e a distanza, con tecnologie antiche e moderne, con tutti i linguaggi a disposizione e una pluralità di metodologie a seconda delle situazioni contesti) e che recuperare il terreno perduto per arricchire il proprio percorso di tutte le opportunità che il nuovo linguaggio digitale offre sia la vera sfida.
E proprio così non solo potremo stare oggi accanto ai nostri studenti, ma - emergenza covid superata - i nostri studenti resteranno accanto alla scuola.

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