Big Data e la Mappa dell'Impero


Il futuro è una grande mappa tridimensionale della città, interattiva e che muta secondo per secondo” immagina Peter Marx, nuovo Chief Innovation Technology Officer di Los Angeles. 

In un recente articolo di Repubblica, si p
arla di
Smart cities, BigDataOpenData e di quanto, dalle amministrazioni pubbliche, ai cittadini, alle imprese, potrebbero giovarsi di tante informazioni oggi conosciute, se fossero tutte facilmente accessibili.

E se ne parla sempre troppo poco, forse non comprendendo bene che questa sì è una vera rivoluzione.

Non solo perché i dati che vengono prodotti e raccolti sono tanti, perché la sfida è quella di riuscire a mettere insieme questo grande volume, varietà e velocità di informazione, perché



perché, come dice
Al Gore in The Future, non abbiamo mai fatto esperienza di così tanti rivoluzionari cambiamenti avvenuti simultaneamente


perché succede che, quando il mondo si fa molto complesso, causa il maggiore, frequente e sempre più veloce contatto tra popoli e terre, nasce il bisogno di comprendere e governare nuove realtà. E lo strumento che abbiamo per farlo è un linguaggio. 

Il linguaggio, rappresentando la realtà, ci permette di organizzarla, comprenderla, memorizzarla, gestirla. O almeno provarci. Per scongiurare l’angoscia del rischio, dell’imprevisto, 
dell’Altro, dell’ignoto. 
L’essere umano con i linguaggi fa questo: costruisce con le proprie mani un universo che rappresenta quello che lui non ha creato, in questo facendosi dio, e nel rappresentare questo doppio, da lui creato, fissandone regole grammatiche sintassi, sente di tenerne il controllo dell’uno e, in qualche modo, così facendo dell’altro.

Ma succede che il mondo è vivo e, siccome la vita si evolve, ogni volta quello si fa più complesso, le interazioni accelerano, nuovi spazi-tempi impongono differenti sistemi di prossimità, i vecchi linguaggi non sono più sufficienti a rappresentare il nuovo mondo. E nasce l’esigenza di trovarne di nuovi: è avvenuto così alla nascita dell’immagine, della scrittura, della matematica… fino al cinema.

Oggi, ancora una volta, tutti i linguaggi che abbiamo inventato restano impotenti a descrivere le nuove realtà, c’è bisogno di ridisegnare una mappa ancora più dettagliata, che tenga conto di tutti i saperi e le informazioni che abbiamo, e sono tante, veloci, di diversa natura, simultanee e interattive. E’ così che nasce il nuovo linguaggio, insieme al mondo che si moltiplica. E’ il linguaggio ipermediale, fatto di multimedialità + interattività. E’ quello che usiamo su internet ma non solo. 

Perché è un linguaggio che i più visionari avevano cominciato a immaginare, a sentire necessario, a creare – questo sì predittivamente – molto tempo prima che lo strumento tecnico (internet) esistesse, oltre un secolo fa.

Ecco cosa diceva Jorge Louis Borges nel 1935 e nel 1954. 


E Lewis Carrol nel 1893.


Ora, pensiamo a Google Earth. E alle Smart cities, ai Big Data, agli Open Data. Il futuro che pareva avveniristico è già presente.
C’è tutto un passato che ce l’ha detto, ci ha preparato e avvertito. Un passato che ne aveva paura, curiosità, sgomento: come sempre fa l’ignoto.

Ma abbiamo avuto un secolo abbondante per prepararci, tutta un’arte – quella del 900, che ha rotto la gerarchia formale, temporale, sequenziale, che ha fatto forza da ogni lato verso direzioni in vario modo non più ordinate e prefissate, ma interattive, fino a esplodere in mille frammenti.

Un rinnovato BigBang
che porta a creare nuovi mondi, nuove mappe.
Cosa aspettiamo ancora, a parlare di futuro quando tutto questo è già presente? 

Andare nei deserti dell'ovest, abitati da animali e mendichi, dove giacciono lacerate rovine di una mappa già immaginata nel passato e, ora che ne abbiamo linguaggio e mezzi, disegniamola davvero la nuova mappa, una mappa che rappresenti il nuovo mondo, il nostro

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