La flessibilità meglio del limite?

Will Quadflieg und Gustav Gründgens, Hamburger Aufführung und Verfilmung 1961

Giovanni Bottiroli, di fronte una società che sembra devastarsi non percependo più il senso e la funzione del limite, inteso come legge, propone la flessibilità come rinuncia a questo superamento (La flessibilità è meglio del limite, DoppioZero). Paradossalmente usa Nietzsche a supporto della sua proposta.

Fatico un po' a capire come il superuomo, o meglio giustamente l'oltreuomo nietzschiano, potrebbe attenersi alla rinuncia del desiderio, della spinta, a superare se stesso. Ma i paradossi mi affascinano e sempre rivelano qualcosa.

Trovo però molto poco centrata la tesi che cerca di spiegare questa “frenesia che spinge il soggetto di oggi da una cosa all'altra, da uno sciame all'altro” con il fatto che “ogni durata viene percepita come monotonia, vuoto, da cui l’evaporazione di un qualunque investimento libidico durevole”.

A parte che la trovo molto giudicante senza che spieghi molto: il godimento, la jouissance, per Bottiroli non sarebbe superamento del limite, non sarebbe oltrepassante. E, se anche fosse da intendersi così, sarebbe bello sapere perché avviene, conoscerne la sua ragione profonda.
Io però non credo affatto sia così.

Il suo giudizio arriva addirittura ad esaltare ogni rinuncia al superamento del limite, e chiamarla flessibilità. Per carità, ottima virtù, specie nelle beghe quotidiane, ma addirittura darla come alternativa al limite! L’essere umano ha da sempre spinte ulteriori che non la mera sopravvivenza, prima fra tutte quella di esplorare tutte le possibilità di sopravvivenza, finanche divine.

Penso invece che viviamo un’epoca davvero nuova, che ha spostato il confine, il limite della precedente dandosene uno nuovo. Dall'onniscienza, ossessione del Faust moderno, che lo dispone pure a vendersi l’anima per questa; all’onnipresenza, ossessione contemporanea dell’essere ovunque simultaneamente. Per la quale siamo anche noi disposti a venderci l’anima, unico prezzo ammissibile in una tale sfida, il superamento del limite.

Non è che sia semplicemente noioso restare confinati dentro di sé (come minimizza Bottiroli). Piuttosto desideriamo assaporare dio. E, dopo avergli strappato l’onniscienza, la Scienza dell’epoca moderna, vogliamo strappargli l’ubiquità, Entanglement dell’era contemporanea.

Facile o difficile, giusto o sbagliato, bello o brutto che sia, il desiderio umano (dico desiderio, non jouissance) è proprio questo: tentare di oltrepassare i limiti e, una volta superati, porsene di nuovi, così da provare tutte le infinite (se non sappiamo quante sono) strade e possibilità che la vita ha di sopravvivere e che, finché non le abbiamo attraversate, chiamiamo divine, chiamiamo limiti.

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