Chiudono le officine di umanità


Chiudono o sono in crisi le librerie, anche quelle storiche, a Roma, a Torino, come a New York. E il pianto sale, ma l’operazione nostalgia è ben nascosta e rimpacchettata con carta molto cool. Attenzione, bisogna dire: ‘geografia urbana, geografia sociale’.

“Non è una questione di nostalgia, attenzione, ma di geografia urbana, che è geografia sociale e vita della comunità. Una libreria non è mai solo un esercizio commerciale ma un aggregatore di contenuti, idee, cultura che supera certamente gli scarni dati economici”.  (Il Sole 24 ore)

Ma allora, se una libreria è questo (un aggregatore di contenuti, idee, cultura), e questo si vuole difendere, vendere libri è, deve essere, irrilevante. Se le librerie sono, come titola l'articolo di Stefano Salis,

officine di umanità per ritrovare se stessi

può una cosa così alta, importante e bella  dipendere da chi emette lo scontrino del libro?

Dobbiamo arrivare a capire che il motivo dell’esistenza fisica di oggetti e spazi in un’epoca in cui la mobilità (anzi, la simultaneità) consente alle cose, alle persone, alle idee di essere sempre più facilmente ovunque (proviamo a familiarizzare con il concetto di entanglement che, sebbene lontano, ci aiuta un po’ a ragionare), l’unico motivo per cui ha senso un negozio fisico su strada è se consente di fare ciò che si può fare solo “qui e ora”.
Ad esempio ‘aggregare fisicamente le persone’, permettere loro di fare esperienze (conoscersi, parlare, giocare, mangiare, bere, flirtare, scambiarsi idee, riposare, ecc. ecc. purché ‘qui e ora!’).
E dunque, per un luogo che dice di voler essere “aggregatore di contenuti idee cultura” il fatto che venda o meno libri deve essere I-R-R-I-L-E-V-A-N-T-E.
I libri puoi tranquillamente comprarli su amazon o altro ecommerce, magari ordinandoli anche direttamente da lì, ma in quel luogo invece potrai fare altro, ovvero tutto quello che su amazon e online non puoi fare.


Ma andiamo più in dettaglio: cosa esattamente angoscia o rattrista o cerca di difendere chi oggi leva gli scudi di fronte alle chiusure delle librerie? (e potremmo parlare di negozi, botteghe e commercio tout court).
I libri? il leggere? la cultura? la socializzazione? le mura? gli affari di un privato proprietario di libreria? il lavoro? l’abitudine di alcune persone di andare proprio lì? il passato?
Vediamo:

- i libri, grazie all’ecommerce, continuano a essere pubblicati e letti, anzi, hanno ancora più possibilità di essere pubblicati (perché non devono necessariamente sottomettersi alle logiche di grandi editori e distributori) e in modo molto più green (grazie all’instant print si possono stampare mano mano solo le copie che si vendono e spediscono, senza buttare al macero migliaia di copie invendute e rese dagli scaffali della libreria; o, grazie all’ebook, evitare proprio di stampare, ecc.).

- la lettura, la conoscenza: si scrive e si legge più che mai, perché la conoscenza non passa solo attraverso il formato libro, quello è un contenitore, si può leggere e tanto, e di grande livello, anche in modo diverso (ad es. siti, pdf, audiolibri, podcast ecc.).

- certamente non è la socializzazione che diminuisce grazie a internet piuttosto che in libreria (se dite che avete conversato di libri e conosciuto più amici in libreria - le attuali librerie! - che su internet non vi credo 😜 ).


- le mura della libreria, così come gli affari di quel proprietario (o estendiamo: il lavoro) possono rivivere e vivere in altro modo decisamente più interessante (e profittevole): una biblioteca che organizza eventi letterari con aperitivi e incontri? giusto per fare un fin troppo facile esempio.

- quanto all’abitudine di alcune persone ad andare proprio lì mi pare non abbia proprio bisogno di essere difesa se quelle persone preferiscono non andare più in libreria per comprare libri. Forse quel posto non gli propone ciò vorrebbero o hanno bisogno di fare esattamente “lì”

- il passato? Ecco su questo fermiamoci.
E torniamo alla nostalgia, senza carte da pacchi cool.
La nostalgia è bisogno di difendere il passato. In quanto tale. Perché il futuro spaventa. E questo è certamente un tema più interessante. Sarebbe bello parlare con sentimento di questo, piuttosto che della chiusura di negozi su strada come se si trattasse di un evento nefasto, una calamità, il segno dell’apocalisse che ci aspetta.

Non impacchettiamo le cose, datemi retta, andiamo direttamente al punto. Ci aiuta ad affrontare quello che succede, e succederà, con anticipo e consapevolezza, proprio per evitare che diventi, non certo una apocalisse per l’umanità - che si è sempre difesa bene di fronte al futuro e anzi -, ma un problema per la vita di alcune specifiche persone (a cui teniamo molto, e sul serio).

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